Saliamo controcorrente puntando alla fonte per conoscere l’acqua che non è ancora scesa, e l’acqua lassù non c’è, nonostante
l’abbondante stagione di piogge. La sorgente al Passo della Mauria - che si trova per qualche chilometro in terra veneta, le Dolomiti
occhieggiano tra i faggi - per la verità il suo lavoro lo fa, umile, come accade al principio di tutti i fiumi, anche l’alfa del
Mississippi è questione di gocce; vari torrenti scendono poi dai canaloni con slancio per consegnare il Tagliamento a un destino
degno del suo nome. Ma il “re dei fiumi alpini”, come lo chiamano gli scienziati tedeschi, è appena nato che già muore nel suo gran
letto carnico, un kingsize approntato per grandi amplessi e invece ospita un giovane cadavere. Nemmeno una decina di chilometri e a
Forni di Sopra è come se il Tilimint fosse evaporato. Una pietraia abbacinante che nella luce sparata di settembre potrebbe essere
una distesa di ossa frantumate di dinosauro. Ponti che sembrano appena inaugurati, come quello di Peone, a valle di Socchieve, sono
bagnati solo dall’alto - giacché siamo nella regione più piovosa d’Italia.
L’aveva detto Franceschino Barazzutti, classe 1936, seduto alla fontana in piazza ad Alesso, poco sotto Tolmezzo, dove una foto
ricorda l’operazione nazista Ataman quando nel 1944 i cosacchi vi abbeveravano i cavalli e ribattezzarono il paesino col nome di
Novočerkassk: “C’è il greto del Tagliamento e poi c’è il Tagliamento costruito dall’uomo, quello succhiato con le pipeline che
viaggiano nelle gallerie delle montagne, tutto il bacino acquifero a monte di Tolmezzo non esiste più, settanta chilometri di ex
fiume. Acqua che diventa energia per il Veneto, oppure è pompata nella bassa per le pannocchie e la soia. Aveva già cominciato la
Sade, quella del Vajont, oggi siamo colonia di A2A. Per dire, la centrale di Somplago, qui vicino, è gestita direttamente da Milano”.
Fu spedito dal Pci a studiare economia all’università di Mosca, il Barazzutti, poi fu leader dei sindaci del terremoto del 1976, ma
la battaglia della vita è stata quella contro “i predoni dell’acqua perduta”; tira fuori da una cartellina ordinata una serie di
mappe, elenca a memoria una trentina d’affluenti grandi e piccoli del Tagliamento finiti intubati, ormai cicatrici bianche nelle
valli: “Il fiume più integro e selvaggio d’Europa lo chiamano… Ma di che cosa parlano? In Carnia non ce l’abbiamo proprio più il
fiume, nemmeno il deflusso minimo imposto dalle norme europee”.
Eppure c’è una gran mobilitazione nella valle del Tagliamento, è diventato un fiume politico. Perché da dove “rinasce” - circa
all’altezza di Trasaghis - e fino all’Adriatico, è il corso d’acqua più studiato e invidiato d’Europa, un unicum che vorrebbero
copiare in Germania, Svizzera e Austria per riportare allo stato brado i loro fiumi addomesticati. Siccome è il meno moderno, il
Tagliamento è il più rivoluzionario e avveniristico. Ma ora incrocia la sua strada con la famosa “politica del fare”, nella valle
rullano i tamburi del progresso. Guarda caso la linea del fronte friulano che separa il “partito del Tagliamento” e quello dello
“sviluppo infrastrutturale” si trova proprio lungo le rive tra Pinzano e Ragogna, dove nell’autunno 1917 cinquemila fanti del
battaglione Bologna s’immolarono per bloccare gli austro-tedeschi in avanzata dopo Caporetto, permettendo all’esercito italiano di
riorganizzarsi sul Piave.
È questo il punto dove vorrebbero costruirvi il viadotto d’una nuova autostrada pedemontana per il flusso merci verso il Nord, la
Cimpello-Gemona, e un sistema di sbarramento “tipo Mose” per contenere i rischi di piena nella bassa, soprattutto a Latisana; ma è
anche uno dei paesaggi fluviali più potenti mai visti in tanti anni di fiumi discesi o risaliti in giro per il mondo: dal monte di
Ragogna il Tagliamento è un tuffo vertiginoso in ere pre-umane, l’acqua scorre a regime libero in un intrecciarsi anarchico e
mutevole di meandri, sono cavalli che sgroppano nella steppa, perché tale è il greto per decine di chilometri, una vasta pietraia
degna dei grandi fiumi siberiani o dell’Alaska, solchi turchese nel bianco e nel verde delle isole alberate sorte con i detriti.
A fine corsa quei sassi diventano due ali di gabbiano di sabbia finissima, le spiagge di Lignano e Bibione. Dieci milioni di turisti. “Il Tagliamento è il corridoio ecologico di tre ambienti, mediterraneo, balcanico e alpigiano, qui contiamo 32 habitat diversi”, dice Giosuè Cuccurullo, naturalista, presidente del Comitato riserva naturale foce del Tagliamento. “Le barriere di Pinzano farebbero saltare un intero sistema, e poi sono anacronistiche, non tengono conto del cambiamento climatico, che accelera l’erosione delle spiagge, le mareggiate sono sempre più forti”. Regione, protezione civile e il concessionario del lido che affaccia sulla foce hanno costruito la “Passeggiata Hemingway”, un’elegante difesa spondale impreziosita con scritte tratte da Addio alle Armi e Di là dal fiume e tra gli alberi, i due libri che il grande scrittore ambientò nell’ultimo tratto di Tagliamento: a Latisana incontrò il suo ultimo amore, Adriana Ivancich, e nelle valli lagunari cacciava con la spingarda, un mega-fucile con cui poco virilmente abbatteva anche cinquanta anatre con un colpo. È bastata una piccola mareggiata per danneggiare il camminamento letterario-balneare il giorno prima dell’inaugurazione lo scorso agosto. “Con quelle di novembre verrà spazzata via”, dice Giosuè. Che poi parla delle dune millenarie create dal fiume e che fanno gola ai palazzinari, 300 ettari on the beach, ma a rischio esondazione.
“Si parla di cinquemila posti letto”, precisa Aldevis Tibaldi, 73 anni, un nome singolare quanto la sua carriera di geotecnico al
centro di grandi progetti nazionali, dal rafforzamento della Torre di Pisa, all’alta velocità, alla costruzione del vecchio Ponte
Morandi (escluso dal gruppo di lavoro “dopo uno scazzo con l’ingegnere”). Oggi è presidente di una delle variegate anime del “partito
del Tagliamento”, il comitato per la vita del Friuli rurale. Siamo sull’argine sinistro, a Latisana, davanti all’ospedale e al
quartiere che è stato interamente costruito in zona esondabile, dentro l’alveo del fiume. Fino al primo Novecento gran parte di
questa Bassa Friulana era palude e foresta, denominata Silva Lupanica sin dai tempi di Plinio il Vecchio.
Nel 1966 l’acqua a Latisana fece 14 morti. “Il Tagliamento prima divideva il Friuli, due mondi a volte molto distanti, di là e di ca
de l’aghe, di qua e di là dell’acqua, si diceva. Ora c’è un Nord e un Sud”, spiega Aldevis. “Qui ce l’hanno a morte con i sindaci di
sopra. Vogliono la diga a monte per coprire decenni di negligenze, di sinistra e di destra, soprattutto pensano a proteggere
l’espansione urbanistica di Lignano. Latisana ha molto peso nella giunta di Massimiliano Fedriga, la Lega sul Tagliamento vuole
dimostrare di fare meglio di Debora Serracchiani, e ci vuole poco.
Ma anche ambientalisti e localisti usano il fiume per mettersi in mostra”. Uno studio dell’olandese Delft University of Technology ha
giudicato il progetto delle paratie mobili di Pinzano una “assurdità”. Secondo Daniele Galizio, il sindaco di Latisana, tutti gli
altri studi dicono invece che l’opera è necessaria: “Qui l’acqua passa al livello del secondo piano delle case. Sono cent’anni che
costruiamo in sicurezza. Vogliamo piuttosto dire che quelli di su, gli amanti del cavedano, hanno piazzato le aree artigianali
nell’alveo del Tagliamento? Noi vogliamo proteggere i cittadini e anche quel patrimonio economico che sono Lignano e Bibione. Qui il
tema non è se succederà un disastro, ma quando succederà, e allora qualcuno dovrà prendersi la responsabilità”.
Il fatto è che chi arriva da Dresda o da Zurigo a studiare il Tagliamento, non viene solo per le orchidee selvatiche o per l’occhione, un uccello tipico del greto; ma proprio perché questo fiume è diventato un modello della cosiddetta Nature-based solutions, cioè della mitigazione del rischio fluviale evitando le barriere e creando invece invasi naturali, offrendo magari lauti indennizzi agli agricoltori. “In Europa si è passati dall’idea di allontanare l’acqua a quella di farle spazio”, dice Anna Scaini, idrologa dell’università di Stoccolma, cresciuta a Varmo sulla riva del Tagliamento. “Ci sono 1200 progetti di rinaturalizzazione dei fiumi, anche rimuovendo dighe e canali. È una soluzione che permette di gestire meglio le dinamiche fluviali in particolare in uno scenario di cambiamento climatico. Insomma un fiume libero come il Tagliamento può essere un’opportunità più che un problema”.
Come ci avrebbe sguazzato in questa polemica il corsaro antimoderno Pasolini. Se morì dove muore il Tevere, è qui che visse da “giovane indigeno”, sul Tagliamento “candido come uno scheletro”, “dove respiro odore di terra romanza, di area marginale”. La sua Versuta, con l’affresco di San Cristoforo Cinocefalo, patrono dei guadi, e il vecchio casello della “scuoletta” fondata sotto i bombardamenti, stanno quasi sull’argine; Casarsa – che a PPP non ha ancora dedicato una strada – come tutti i paesi rivieraschi è costruita con i sassi del Tagliamento. I maestri friulani del “terrazzo veneziano” che hanno pavimentato anche i palazzi degli zar, attingevano i claps dal fiume; la scuola internazionale Mosaicisti del Friuli sorge a Spilimbergo nel 1922 proprio perché la “cava” del Tagliamento sotto casa offre tessere uniche al mondo, usate per decorare il Foro Italico o la metropolitana di New York, per restaurare il Santo Sepolcro a Gerusalemme o per soddisfare i gusti dei nababbi arabi: ancora oggi i settanta allievi, provenienti da 18 nazioni, scendono nelle grave a scegliere i ciottoli da trasformare in un’arte sempre più richiesta.
“Il prosciutto di San Daniele non esisterebbe senza il Tagliamento. Matura soltanto lì a quel modo, per il microclima generato dal corridoio fluviale Adriatico-Alpi. Questo fiume produce profitto, non è un feticcio identitario, a differenza di tanti altri a cui la modernità ha girato le spalle, il Tagliamento attira ancora vita, sempre più giovani ritornano dall’università per aprire attività legate al turismo slow, società di kayak, piccole aziende agricole”, dice lo scrittore Tullio Avoledo, uno degl’intellettuali friulani più impegnati contro la grande opera legata ad un altro corridoio, quello dell’asse trans-europeo Alto-Adriatico-Baltico che la Regione vuole agganciare con una nuova autostrada, per collegare l’A28 da Cimpello, nel Pordenonese, con la A23 a Gemona; 58 chilometri che sono una priorità per la giunta Fedriga (pressata dal sistema Porto di Trieste e da Confindustria) e che stanno infiammando la comunità friulana, ma hanno mobilitato anche migliaia di tedeschi e austriaci, perché nella “stretta” di Pinzano, proprio nel punto più iconico del Tagliamento, un viadotto sostenuto da piloni alti 36 metri ne sfregerebbe l’integrità.
Seduto sui resti d’un vecchio bunker, uno dei tanti che segnano, lungo l’argine destro, quello che durante la Guerra Fredda nel Friuli-caserma era ritenuto il fronte di ultima resistenza contro l’invasione comunista, Avoledo ricorda quando il suo editore ungherese gli confidò di conoscere una per una le difese del Tagliamento senza averci mai messo piede, era stato infatti parte della divisione che avrebbe dovuto sfondare a Valvasone, proprio il paese dello scrittore friulano, proprio dove sfondarono i turchi nel 1499 compiendo una carneficina di civili inermi. “La nostra è una lotta pacifica, comunitaria e trasversale, ci sono anche tanti leghisti che firmano l’appello dell’Arca - Assieme resistiamo contro l’autostrada - per candidare il Tagliamento riserva naturale Unesco, in modo da blindarlo contro il rischio cementificazione”, dice. “Sono due visioni di sviluppo opposte, non vogliamo che il Friuli si riduca a diventare una piattaforma logistica per il Veneto e per la Cina, una regione-Amazon. E poi quell’autostrada sarebbe un’altra Bre-Be-Mi, farebbe risparmiare ai camion diretti in Austria da Pordenone nemmeno dieci minuti”.
Il 5 agosto la Giunta si è impegnata a chiedere al governo di poter attingere al Recovery Fund per finanziare alcune opere strategiche, prima tra tutte il raccordo Cimpello-Gemona. Secondo il consigliere regionale d’opposizione Massimo Morettuzzo del Patto per l’Autonomia – braccio politico della protesta friulana – “sarà dura far passare un’opera da anni Ottanta come questa per un incentivo alla green economy, l’Europa non lo permetterà”. Ma in Giunta sembrano determinati ad andare fino in fondo: “L’opera si farà, vuol dire emancipare questa regione dalla sua marginalità infrastrutturale”, dice Riccardo Riccardi, potente vice di Fedriga, “abbiamo un grande porto internazionale come quello di Trieste senza un retroporto adeguato”. E il presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, ex deputato democristiano pordenonese in perpetua auge, parla da pontifex maximus, come se quel viadotto fosse già lì: “Il nostro fiume da lassù è ancora più bello, una gran vista per i contemplatori. Secondo la loro logica le consolari non sarebbero mai state fatte, demolirebbero l’acquedotto perché rovina il paesaggio dell’agro romano”. La battaglia del Tagliamento è appena cominciata.